È possibile abbandonare la democrazia dei tre blocchi e ristabilire la divisione tra sinistra e destra su questioni come la ridistribuzione della ricchezza e la disuguaglianza sociale, in Francia e nel mondo? È questa la sfida principale posta dalle elezioni legislative francesi in vista del secondo turno del 19 giugno. Ricordiamo innanzitutto le caratteristiche della democrazia dei tre blocchi, così come appare dopo il primo turno delle presidenziali. Sommando i risultati dei diversi candidati dei partiti di sinistra ed ecologisti, oggi riuniti da Jean-Luc Mélenchon nella coalizione Nupes, otteniamo il 32 per cento dei voti. Sommando quelli per il presidente Emmanuel Macron e Valérie Pécresse (dei Républicains), il blocco che potremmo definire liberale o di centrodestra raccoglie il 32 per cento delle preferenze. Si arriva esattamente al 32 per cento anche sommando i voti dei tre candidati del blocco nazionalista o di estrema destra (Marine Le Pen, Éric Zemmour, Nicolas Dupont-Aignan). Ridistribuendo fra i tre blocchi il 3 per cento di Jean Lassalle (di Résistons), otteniamo tre terzi quasi identici.

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Questa tripartizione si spiega in parte con le specificità del sistema elettorale francese, ma ci sono questioni di fondo più generali. Va detto che la democrazia dei tre blocchi non significa la fine delle differenze politiche fondate sulla classe sociale e su interessi economici diversi, anzi. Il blocco liberale ottiene i risultati migliori tra gli elettori con una migliore condizione sociale, quali che siano i criteri presi in considerazione (reddito, patrimonio, titoli di studio), in particolare tra i più anziani. La capacità di questo blocco borghese di raccogliere un terzo dei suffragi dipende molto anche dall’evoluzione della partecipazione elettorale, diventata negli ultimi anni più ampia tra i ricchi e gli anziani che nel resto della popolazione.

È possibile ristabilire la divisione tra sinistra e destra su questioni come la ridistribuzione della ricchezza e la disuguaglianza sociale, in Francia e nel mondo?

Questo blocco ha operato una sintesi tra le élite economiche e patrimoniali, che in passato votavano per il centrodestra, e le classi dirigenti istruite che avevano preso un po’ ovunque il controllo del centrosinistra a partire dal 1990. Con un tasso di affluenza uguale tra tutti i gruppi sociali e demografici, questo blocco otterrebbe invece solo un quarto dei voti e non potrebbe governare da solo. Al contrario il blocco di sinistra sarebbe ampiamente in testa, perché ottiene i risultati migliori tra le classi popolari, e soprattutto tra i giovani. Anche il blocco nazionalista crescerebbe, ma meno, perché i voti raccolti tra le classi popolari sono distribuiti in modo più equilibrato tra le diverse fasce d’età.

In un certo senso si potrebbe dire che questa tripartizione si riferisce alle tre grandi famiglie ideologiche che hanno strutturato la vita politica per più di due secoli: liberalismo, nazionalismo e socialismo. Dalla rivoluzione industriale, il liberalismo si fonda sul mercato e sull’allontanamento dell’economia dalle questioni sociali, e seduce i vincitori del sistema. Il nazionalismo risponde alla crisi sociale che ne deriva attraverso la riproposta della nazione e delle solidarietà etnico-nazionali, mentre il socialismo tenta di promuovere un’emancipazione universalistica attraverso l’istruzione, la conoscenza e la condivisione del potere.

Più in generale, sappiamo che il conflitto politico è strutturalmente instabile e multidimensionale (divario tra identità e religione, tra campagna e città, divario socioeconomico e così via) e non può ridursi a un eterno conflitto a una dimensione tra destra e sinistra.

Tuttavia in passato la questione sociale era il principale asse del conflitto politico e opponeva una sinistra sociale e internazionalista a una destra liberale e conservatrice. La novità della situazione attuale è che la questione sociale ha perso d’intensità, in parte anche perché la sinistra al potere ha annacquato la sua ambizione riformatrice e dopo la caduta del comunismo si è spesso schierata con il liberalismo. Così la questione identitaria ha preso il sopravvento.

Quello che definisce la democrazia dei tre blocchi è innanzitutto la divisione tra le classi lavoratrici sulla questione migratoria e postcoloniale: quello popolare giovane e urbano vive una realtà più mista e vota per il blocco di sinistra; l’elettorato meno giovane e più rurale della classe operaia si sente abbandonato e si rivolge al blocco nazionalista. Il blocco borghese spera di rimanere al potere grazie a questa divisione, ma si tratta di una scommessa rischiosa, perché la retorica usata dal blocco nazionalista, spesso incoraggiata da quello borghese, esaspera i conflitti.

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Bisogna tornare a un confronto incentrato sulla questione sociale, non perché il blocco popolare abbia sempre ragione rispetto a quello borghese, ma perché i conflitti mediati dalla classe sociale offrono più materia di confronto e permettono alla democrazia di funzionare. Speriamo che queste elezioni diano un contributo. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1465 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati