◆ Ci avevano persuaso che ogni normale cittadino, qualunque fosse la sua collocazione sociale e il livello di scolarizzazione, potesse aprire il parlamento come una scatola di tonno e sedere sugli scranni. Pareva cosa buona, il trionfo della democrazia: un giorno eri cuoco, un giorno ministro, un giorno critico-critico. Poi quella scapigliata apertura è diventata motivo d’imbarazzo sotto ogni aspetto e, mentre ancora parecchi sprovveduti si attardano in parlamento e al governo, eccoci a sentire – in base all’idea di Eraclito che un solo uomo (forse anche una donna) può valerne almeno trentamila, mentre la folla è zero – la necessità di persone veramente competenti. Quali competenze, però? Si dice: gente che sappia trafficare con numeri e tabelle. O, al capo opposto: gente che sappia vedersela con l’ontologia, la metafisica, la buona vita e la vita nuda. Di qui il grido: più matematica fin dalle elementari. E, di contro: no, più filosofia, anche negli istituti tecnici. Si pensa cioè, per amore di democrazia, a competenze di massa da diffondere tramite scuola. Ma le felici élites che notoriamente sanno – economisti o filosofi, tutti di sentimenti eraclitei – già sono in allarme. Entrambi gli schieramenti temono le infarinature: esse producono moltitudini cervellotiche o che danno i numeri. Preferirebbero che le folle infelici si limitassero disciplinatamente al voto.

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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati