I buoni racconti sono cassetti dove è sempre utile frugare. Cristo, lì nel Getsemani, mostra di saper bene che, se la morte è lontana, sono buoni tutti ad aprire bocca e dare fiato, ma quando la fine è prossima, la carne svela tutta la sua debolezza. Puoi comportarti con dignità, resistere al male, ma c’è poco da fare, è scritto che devi bere l’amaro calice fino all’ultima goccia. Infatti Gesù si prende compostamente sputi, schiaffi e flagellazione. Lo conciano, i suoi aguzzini, così per le feste che bisogna chiedere a Simone il cireneo di portar lui la croce. Finché, inchiodato per ore al legno, cede e grida. Il senso di quel grido, rivolto al suo autore, forse va riassunto così: a quale scopo mi stai lasciando in questa tremenda situazione, a che pro tutta questa sofferenza? Mobilita i tuoi settantamila angeli e dà una bella lezione a questi ricchi epuloni, sacerdoti furiosi, politici scaricabarile, traditori prezzolati, militi sadici, spettatori infingardi. Sarà pur vero, santodio, che così è scritto, sarà pur vero che è scritta anche questa mia disperazione. Ma non tutto ciò che è scritto è buono e giusto. Anzi, particolarmente insopportabile è proprio questa scrittura dell’inevitabile, questo spettacolo dello scempio previsto. Il grido di Gesù prima dell’ultimo respiro è proprio ben gridato. Dura nella testa molto più di ogni “sia fatta la tua volontà”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati