Già il giorno dopo le elezioni siamo diventati sospettamente patriottici. Le ansie che vengono dall’estero ci innervosiscono più delle congratulazioni che giungono da parte delle peggiori destre europee e non. A che titolo lo straniero viene a fare il criticone in casa nostra? L’Italia è una grande democrazia e figuriamoci se si mette a imboccare brutte strade. Giorgia Meloni non è fascista, al massimo è postfascista. La sorella d’Italia per eccellenza è ben più assennata del feroce Matteo Salvini. Più che la vittoria elettorale della fiamma tricolore sprigionata dalla portentosa salma di Mussolini, deve preoccuparci la comprovata disastrosa incapacità di governare della destra. Insomma, anche i migliori tra noi preferiscono tacersi – forse per la vergogna di non aver saputo cambiare le cose – che un po’ di mondo è preoccupato perché siamo un paese preoccupante. Il fascismo lo abbiamo inventato noi. Non ci abbiamo mai fatto i conti. I servizi sempre deviati hanno seguitato a servirsene fino alla fine della guerra fredda. Subito dopo abbiamo messo a punto il modello Berlusconi, che ha riattizzato la fiamma fin dentro uno dei suoi governi. Insomma siamo un laboratorio molto significativo in un momento in cui i popoli covano uova di serpente. Diciamo dunque, non sommessamente, che Meloni è alla foce di un lungo nero rivolo ininterrotto. E raccoglie i frutti di otto decenni di lavoro.

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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati