Succede sempre più spesso che rendiamo minuscole le cose tradizionalmente grandi, pur di sentirci maiuscoli noi, e idonei a grandi imprese. Questa tendenza non vale per Meloni che, nel suo memorabile discorso inaugurale, ha promesso di restituire alla nazione tutte le maiuscole di una volta. Senza le quali lei stessa sentirebbe minuscola la sua impresa di donna che, partita con tutti gli svantaggi possibili, è diventata il presidente del consiglio. Sì, il Presidente: Meloni insiste a definirsi così, e lo fa coerentemente. Nel corso della sua intensa formazione di destra ha assorbito valori maschi, s’è aperta la strada tra camerati maschi, ha puntato a grandi maschi traguardi, li ha raggiunti. Di conseguenza la fisionomia politica di questa giovane donna portentosa è fieramente maschile e ha per corredo il Coraggio, la Fedeltà, il Boia Chi Molla eccetera. Femminilizzare, foss’anche secondo grammatica, la posizione di comando tradizionalmente solo maschile che s’è conquistata, le sembrerebbe con tutta probabilità come mettere la minuscola al potere raggiunto. Se Virgilio usasse oggi, per lei, la formula famosa che usò per Didone – dux femina facti , cioè femmina che si fa duce di un’impresa – probabilmente lo licenzierebbe. A ragione avvertirebbe in quel femina una diminuzione del ruolo. Ma lei, invece di dargli un senso nuovo e forte, si affretterebbe a dire: sono Dux e basta?

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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati