Nelle cronache del ritrovamento di ventiquattro statue bronzee a San Casciano dei Bagni ha una certa frequenza la parola “fango”. E, bisogna dire, il fango salta agli occhi anche nelle foto. Per esempio, una statua tutta infangata la si vede disposta su un fianco, per terra, in modo tale che viene in mente la seconda creazione biblica, quando la bruma bagnava il suolo e a forza di impastare polvere e plasmarla in modo ispirato – cioè soffiandoci sopra alito divino – venne fuori l’uomo. Che lì per lì parve un capolavoro ma poi, di evento in evento, malgrado i neuroni specchio, non si è certo comportato bene, sia nei confronti degli altri uomini, sia nei confronti delle donne e di tutte le creature. Proprio pensando alle peggiori imprese umane è un bene, viene da dire, che queste statue se ne siano state per più di due millenni sotto il fango. Almeno loro – il meglio dell’umanità, un segno mirabile della nostra capacità di dar forma e figura – si sono risparmiate il peggio, riservandosi oggi, nel caso, di testimoniare che con le mani non siamo capaci solo di impugnare armi, sformare forme per terra e per mare, lasciare nel fango corpi sfigurati. Ammesso naturalmente che, per riemergere, non abbiano – cosa probabile – sbagliato momento. Di fronte allo stato attuale del mondo, dell’Italia e dei nostri beni culturali, potrebbero chiedere di tornare subito al fango.

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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati