Negli Stati Uniti inseguimenti e retate appassionano milioni di spettatori. Scene vere, dove musica e montaggio edulcorano azioni altrimenti brutali. Sono programmi che non contemplano sfumature. I ladri sono cattivi, le guardie sono buone. Nessuna concessione sociologica, ma solo trame da fumetti brutti. In Italia si è tentato di costruire reality intorno alle emergenze. Ma oltre a quella psichiatrica del Grande fratello non si registrano molti successi. In queste settimane di rinnovato nazionalismo e attenzione per i confini, fa capolino un programma su DMax, Border control Italia, con protagonista la guardia di finanza e il lavoro quotidiano dei doganieri. Gli agenti osservano i viandanti, stanando i più nervosi e quelli con troppi bagagli. Il racconto è sostenuto da una voce fuori campo che ci ricorda con tono grave quanto i nostri confini siano insidiati da frotte di potenziali criminali. Ma è difficile rendere televisivi reati come i movimenti dei grandi capitali o i traffici internazionali di un certo peso, e tocca accontentarsi di un hippy pizzicato con un grammo di marijuana, un bengalese con delle canne da zucchero prontamente spedite al macero e una signora nigeriana con cinque orologi di plastica simil qualcosa. Gli agenti non sono spietati come i colleghi statunitensi, e finiscono con il fornire, loro malgrado, alcune indicazioni utili: mai viaggiare con più di un trolley e simulare sempre uno stato di grazia. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati