Dopo anni di attacchi e sballottamenti tra una rete e l’altra, la Rai ha dato il ben servito a Fabio Fazio con la tecnica più diffusa tra gli amanti: sparire. Nessuna telefonata, nessuna reazione alla richiesta di chiarimenti. “Belli ciao”, scrive con eleganza il ministro Matteo Salvini a divorzio concluso. Sigillo in una busta la mia previsione: Fazio tornerà sugli schermi del servizio pubblico entrando dalla porta principale. Intanto però facciamo i conti con un editore strozzato da sempre dalla politica e in anni più recenti dal governo. Tutti, a destra e sinistra, insistono nel chiamarla azienda. Un incaponimento lessicale bizzarro, laddove i primi princìpi di economia ci insegnano che l’obiettivo delle aziende è la crescita economica. Fare a meno di Fazio, capace di ottimi numeri e di attrarre ospiti di altissimo profilo, non risponde a una logica d’impresa. Aziendali saranno le articolazioni interne, ma non lo spirito che guida le scelte editoriali, eterodirette, quando va bene, da ragioni di appartenenza politica, se non da rappresaglie personali. Una fotografia che si riflette in un’immagine calcistica di questi giorni: i giocatori dell’azienda Milan, blasonato club a livello europeo, sull’attenti sotto la curva a prendere istruzioni dagli ultrà. Nessuna telecamera digitale, neppure il più bravo tra gli operatori tv, potrà nobilitare quella scena degna non della serie A ma di un torneo tra scapoli e ammogliati. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati