La Brexit non sta funzionando. Le aziende britanniche, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, vacillano. Assorbono costi indesiderati, pagano dazi nascosti, sono sottoposte a controlli più severi sulle esportazioni, trasferiscono fabbriche e uffici nell’Unione europea e perdono lavoratori. Le gite scolastiche da e verso l’Europa non si organizzano più. Per ottenere un visto servono mesi. La scienza britannica è fuori dal progetto europeo Horizon, il più grande programma scientifico internazionale. Alleanze costruite nei secoli sono state fatte a pezzi.

I leader britannici del passato, da William Pitt a Winston Churchill, avevano capito il bisogno vitale d’impegnarsi con l’Europa. Ora il primo ministro irlandese Micheál Martin e il presidente francese Emmanuel Macron hanno acquisito una forza enorme, certi di avere il sostegno dell’Unione. Che si tratti di risolvere la crisi dei migranti nella Manica o di entrare nel programma Horizon, lo sciovinismo bellicoso è una soluzione rozza e inutile. Il Regno Unito ha perso potere, anche se i sostenitori della Brexit non l’hanno ancora capito.

Il mondo industriale britannico è preoccupato. Nei primi sei mesi del 2021 le esportazioni verso l’Europa sono diminuite del 13,1 per cento e le importazioni del 24,8 per cento

Non sarà possibile negare l’evidenza ancora per molto. Di recente il ministro per la Brexit David Frost ha sentito il bisogno di sostenere che per raggiungere il successo il Regno Unito dovrà superare “le forze dell’entropia, della pigrizia e degli interessi consolidati”, tutte chiacchiere che rivelano preoccupazione e angoscia. Gli “interessi consolidati” non sono altro che le aziende colpite dall’aumento dei costi.

Che fine hanno fatto le promesse ai cittadini? Dalla Global Britain alla possibilità di “liberalizzare, innovare e crescere”, il progetto della Brexit sta affondando. Perfino il leader dei laburisti, Keir Starmer, alla conferenza della Cbi (l’unione degli industriali britannici) ha preso coraggio e ha cominciato a sfruttare questo terreno fertile, sostenendo che, al contrario del governo, i laburisti avevano un piano per far funzionare l’uscita dall’Unione. Il problema è che Londra si è così arroccata su posizioni sovraniste da mettersi in trappola da sola, condannandosi a una serie di fallimenti.

Analizzando l’Accordo per il commercio e la cooperazione (Tca) tra Unione europea e Regno Unito, le economiste di Cambridge Emilija Leinarte e Catherine Barnard hanno osservato che riguardo allo scambio di merci (l’accordo è così anacronistico che ignora i servizi), il Tca non aggiunge nulla alle linee guida dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). A parte il protocollo per l’Irlanda del Nord, non si parla di mercato unico. Da qui nascono i problemi. Naturalmente ci sono i costosi controlli sanitari sulle esportazioni, dai crostacei vivi alle patatine al formaggio, gli stessi che valgono per qualsiasi produttore esterno al mercato unico dell’Unione. David Frost non conosce la materia, ma altri funzionari hanno suggerito che si potrebbe rimediare approvando leggi e certificazioni di sicurezza specifiche per il Regno Unito.

Il mondo industriale però è scettico e il settore dei servizi finanziari è preoccupato. Nel Tca per esempio non ci sono disposizioni per le banche che vogliono vendere i loro servizi nell’Unione. I banchieri non stanno fuggendo a gambe levate da Londra, ma il numero di chi se ne va è in costante aumento. I mercati finanziari della capitale al momento sono paragonabili a quelli di New York per profondità e liquidità; ogni banca che sposta le sue attività erode quella profondità.

I problemi si accumulano. Secondo la trasmissione Dispatches della tv britannica Channel 4, nei primi sei mesi del 2021 le esportazioni verso l’Europa sono diminuite del 13,1 per cento e le importazioni del 24,8 per cento. A perderci sono anche i giovani: non possono partecipare al programma Erasmus né lavorare nei settori turistici dell’Unione. Inoltre il paese rischia di perdere 45mila ragazze e ragazzi alla pari e circa 750mila studenti che ogni anno arrivavano dall’Unione e che ora rinunciano, scoraggiati dall’obbligo del passaporto e dalle regole sull’immigrazione.

Dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’Afghanistan, è chiaro che al Regno Unito serve anche una dimensione europea per la difesa; lo stesso vale per la cibersicurezza e la lotta al crimine internazionale. Il feticismo della sovranità paralizza ogni cosa, portando a posizioni rigide su molte questioni e all’assurda convinzione che Australia e Messico siano vicini e importanti quanto Francia e Germania.

Londra deve partecipare alla vita del continente di cui fa parte. Per questo il 29 novembre è stata inaugurata una commissione indipendente sui rapporti tra Regno Unito e Unione (di cui faccio parte). La ricchezza del paese è a rischio. Bisogna trovare piani sostenibili per raggiungere accordi migliori sulla mobilità, la sicurezza e gli standard del commercio. E soprattutto c’è una cosa da non fare: rendere ancora più profondo il buco in cui il paese si è cacciato. ◆ gim

Will Hutton
è un giornalista britannico. Ha diretto il settimanale The Observer, di cui oggi è columnist. In Italia ha pubblicato Il drago dai piedi d’argilla. La Cina e l’Occidente nel XXI secolo (Fazi 2007).

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Questo articolo è uscito sul numero 1438 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati