Per ora, malgrado le drammatizzazioni dei mezzi d’informazione, la campagna elettorale sembra uno spiazzo erboso riservato alle feste paesane e ai giochi circensi. Niente grandi manovre, niente scorrerie, niente folle trepidanti. In più fa caldo, piove pochissimo, il fango si secca subito. Di conseguenza anche gli schizzi di melma ipotizzati da Meloni – autoproclamatasi vittima designata di brutti scherzi nazionali e internazionali – non si sono ancora visti. Lei è costretta a cantarsela e suonarsela da sola, insidiata solo da Salvini e Berlusconi, i suoi veri rivali, e da un bel mucchio di brutte stonature. Ma pazienza, stonano anche gli avversari di centro e quelli con un pizzico di sinistra, tutti cantanti e suonatori sconcertati che, tra l’altro, non hanno nemmeno un fido Crosetto in grado di correggergli con tatto il fraseggio. Così queste elezioni di tarda estate potrebbero aspirare al simbolo. Mezzo corpo elettorale, ormai sufficientemente abbronzato, intende tornare a prendersi cura della propria sopravvivenza a rischio senza perdere tempo con il 25 settembre. L’altra metà, visto che non c’è vaticinante che non vaticini la vittoria della stradestra, trova le elezioni più prevedibili delle parole incrociate quando orizzontali e verticali sono pigramente concepite. Insomma questo vacanziero rito elettorale rischia di significare più che mai la fragilità della democrazia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati