Confinata nella sua camera per quasi due settimane a causa del covid, figlia piccola ha dimostrato un’invidiabile forza di spirito. La terapia a base di telefono e videochat, come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità mentale dei genitori, ha funzionato. E tra le tante cose che sono venute meno c’è l’accesa discussione serale su cosa vedere in tv, ultimo fronte di travagliati negoziati per il contratto unico di palinsesto. Se la tv è il posto fisso, smartphone e tablet sono le partite iva, l’occupazione intermittente e individuale. Con la bambina appagata dal suo jobs act, intorno alla tv di casa è calata una sinistra pace sociale. Unica deroga la puntata del Collegio (Rai 2), il docu-reality che catapulta degli adolescenti in un severo istituto degli anni settanta. La visione merita uno schermo di svariati pollici e riaccende il dibattito. Ho chiesto la ragione di tanto affetto per un programma tv. E scopro che non sta, come scrive qualcuno, nel desiderio inconscio di regole ferree, ma nella commedia degli adulti, nella maschera del rigore che tentano d’imporre. L’inflessibilità è per loro quello che per noi era il manto di Furia o della Tigre di Mompracen. È un mondo esotico. Imprese fumettose di padri tutti d’un pezzo. Vorrei controbattere con una frase d’effetto sull’attualità delle regole. Ma figlia piccola ha già chiuso la porta, impostato la sveglia sullo smart­phone e spento la luce. Con ordine e disciplina. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati