Il teatro antico di Epidauro ha più di settemila posti. Se getti una moneta al centro, puoi sentirne il rumore da ogni angolo. Sarebbe bello se gli scienziati di tutto il mondo sedessero lì ad ascoltare uno che parla senza microfono, dice Marco Paolini, che finalmente torna in tv con La fabbrica del mondo (Rai 3), occasione per riprendere contatti con l’argomento più trito e noioso (televisivamente parlando) del momento: la pandemia. Grazie a una semplice premessa – se sollevi lo sguardo dal testo puoi osservare il contesto – scopriamo che è per un accidente se non siamo tutti pipistrelli; che l’essere umano è un mammifero unico come l’oritteropo, un po’ formichiere un po’ maiale; che c’è parentela tra il ddt e gli acronimi virali di questi ultimi anni; che la Terra ha una fisiologia dove tutto è connesso, quindi guai a sottovalutarne i sintomi. Le parole di Paolini s’intrecciano a quelle del filosofo Telmo Pievani, che chiarisce i legami tra aneddotica e scienza, ricordando le predizioni laiche della biologa Rachel Carson e il sacrificio di Carlo Urbani, il medico senza frontiere che scoprì la sars prima di caderne vittima. L’intreccio delle due voci, quella umanistica e quella del divulgatore, disegna una lingua che dovremmo frequentare, per rispondere alle domande che verranno, per diventare buoni operai della fabbrica del mondo o anche solo per uscire dalla superstizione e dal noioso dominio dei talk show. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1443 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati