Se il diavolo è nei dettagli, figurarsi l’ayatollah. Su Irib, la tv di stato iraniana, quando non è interrotta dagli hacker vanno molto forte le gesta mitologiche della guida suprema Ali Khamenei. Avendo concentrato nelle sue mani tutti i poteri di nomina e di castigo, i militari, i professori universitari e gli alti papaveri fanno a gara per raccontarne le prodezze. Pochi giorni fa, in uno studio nero come la pece, il generale Rahim Safavi ha intrattenuto il pubblico con la storia del nipote, colpito da ittero, giallo fino alla pancia, che l’ayatollah avrebbe guarito con una zolletta di zucchero su cui aveva precedentemente soffiato. Altri ospiti ne hanno magnificato l’umiltà per quella sua abitudine di comprare solo la frutta più economica, d’indossare vestiti rammendati e per i tre anni di gavetta trascorsi a dormire in un container di cento metri (comunque non minuscolo). Un imam ha citato il ricordo della sorellastra dell’ayatollah secondo cui l’ostetrica per poco non svenne sentendolo esclamare: “Oh Alì”, appena partorito. Khamenei stesso, durante una maratona tv simile nei tempi a quelle di Mentana, si vantò, non si capisce se per narcisismo o per esortare al rito anche in casi estremi, di essersi gettato da un treno in corsa per pregare: “Il vagone era troppo sporco”. E siccome anche le guide supreme hanno un briciolo di pudore, smussò la panzana con una precisazione: “Comunque ero vicino a una stazione”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati