Alcune delle più importanti case editrici di riviste accademiche vietano ai loro autori di usare ChatGpt, il soft­ware basato sull’intelligenza artificiale che simula conversazioni umane, o ne ammettono l’uso con molte restrizioni. Visto che il software sfrutta informazioni prese da internet per produrre risposte molto leggibili alle domande che gli vengono poste, gli editori temono un aumento dei casi di plagio e lavori inesatti.

Molti ricercatori hanno già inserito ChatGpt nella lista degli autori dei loro studi, e alcuni editori hanno preso provvedimenti per impedirlo. Il direttore di Science, una delle riviste scientifiche più autorevoli al mondo, ha fatto un passo in più, proibendo di inserire qualsiasi testo prodotto dal software nei saggi proposti per la pubblicazione.

Kateryna Kon, Science Photo Library/Getty

Non stupisce che gli editori accademici si interessino a questi strumenti. Di recente abbiamo condotto uno studio, uscito su Finance Research Letters, per dimostrare che ChatGpt può essere usato per scrivere un saggio finanziario in grado di essere accettato da una rivista accademica di settore. Secondo noi, editori e ricercatori non dovrebbero vedere ChatGpt come una minaccia ma come un aiuto potenzialmente importante per la ricerca, una sorta di assistente a basso costo. Se è facile ottenere buoni risultati semplicemente usando il programma, forse con uno sforzo in più potremmo avere risultati eccezionali.

Abbiamo prima di tutto chiesto a ChatGpt di generare le quattro parti standard di una ricerca: l’idea di base, la revisione della letteratura scientifica (una valutazione delle precedenti ricerche accademiche sullo stesso argomento), una serie di dati e i suggerimenti per le verifiche e l’analisi. Ci siamo limitati a dare una definizione molto ampia del tema e abbiamo specificato che il risultato doveva poter essere pubblicato su una “rivista finanziaria di buon livello”. Questo è il primo modo in cui abbiamo impiegato ChatGpt. Nel secondo abbiamo incollato nella finestra del programma circa duecento sintesi di ricerche esistenti e pertinenti. Poi gli abbiamo chiesto di tenerne conto per creare le quattro fasi della ricerca. Infine, nella terza versione, abbiamo aggiunto l’“esperienza di settore”, cioè contributi di accademici: abbiamo letto le risposte prodotte da ChatGpt e suggerito dei miglioramenti. Così abbiamo integrato la nostra competenza a quella del software. A quel punto abbiamo chiesto a 32 recensori di valutare ognuna delle versioni. Dovevano stabilire se il risultato fosse abbastanza completo, corretto e se offrisse un contributo tanto innovativo da poter essere pubblicato su una “buona” rivista accademica.

La grande lezione è stata che tutti questi studi sono stati generalmente considerati accettabili dai recensori esperti. È piuttosto impressionante: un chatbot è stato in grado di generare ricerche accademiche di qualità. Questo solleva domande fondamentali sul significato della creatività e sulla proprietà delle idee creative, a cui nessuno ha ancora dato una risposta sostanziale. Il software si è mostrato debole quando gli è stato affidato un compito che prevedeva più passaggi, per esempio la rassegna della letteratura scientifica e la verifica. Ma siamo riusciti a superare questi limiti nella terza versione, quella più avanzata, in cui abbiamo lavorato con ChatGpt per ottenere dei risultati convincenti.

ChatGpt è uno strumento. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che, con qualche accorgimento, può essere usato per generare una ricerca accettabile in campo finanziario. Questo ha chiaramente delle implicazioni etiche. L’integrità della ricerca rappresenta già oggi un problema urgente nel mondo accademico. ChatGpt potrebbe aggravarlo?

La risposta breve è sì, potrebbe. Ma non si può più tornare indietro. Inoltre questa tecnologia è destinata a migliorare rapidamente. A un certo punto bisognerà affrontare una questione più generale: come prendere atto del suo ruolo nella ricerca e come gestirla.

ChatGpt non dovrebbe essere considerato una minaccia ma un aiuto, in particolare per i gruppi di ricercatori che non hanno le risorse economiche per assumere assistenti. Come altri programmi simili, potrebbe quindi anche contribuire a democratizzare il processo della ricerca.

I ricercatori, però, devono essere consapevoli che le riviste non vogliono che si usi ChatGpt nella stesura degli articoli. È chiaro che ci sono opinioni molto diverse su questa tecnologia, perciò sarà necessario usarla con cautela. ◆ gim

Brian Lucey eMichael Dowling insegnano finanza rispettivamente al Trinity college di Dublino e alla Dublin city university, nella capitale irlandese.

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati