20 novembre 2020 14:29

Potrebbe essere vicina la fine per l’epidemia che ha infestato il mondo quest’anno. Le buone notizie arrivano da quasi tutti i fronti: cure, vaccini e la nostra comprensione del covid-19.

Pfizer e il laboratorio Biontech hanno annunciato una straordinaria percentuale di successi nei loro primi collaudi della fase tre del vaccino. Se saranno confermati, sarà qualcosa di rivoluzionario. Le cure sono migliorate. Un farmaco di tipo anticorpo monoclonale – simile a quello somministrato al presidente Donald Trump e all’ex governatore del New Jersey Chris Christie – ha ricevuto l’autorizzazione d’emergenza da parte della Food and drug administration degli Stati Uniti (Fda). Nel corso di un test clinico, il desametasone – un corticosteroide generico ed economico – ha ridotto di un terzo il tasso di mortalità dei casi gravi di covid-19.

Dottori e infermieri hanno più competenza nella gestione dei casi, anche nel ricorso a interventi non medici come la pronazione (cambiare periodicamente la posizione dei pazienti mettendoli a pancia in sotto), che può migliorare la capacità respiratoria dei malati. Il personale sanitario sta applicando protocolli rafforzati di controllo delle infezioni, che prevedono per esempio l’uso universale delle mascherine in contesti ospedalieri. La nostra capacità di effettuare test si è rafforzata, e le persone ricevono i risultati più velocemente. Presto potremmo disporre di test rapidi salivari, che le persone potranno usare autonomamente, un’altra svolta potenzialmente rivoluzionaria.

I Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) hanno finalmente ammesso che la trasmissione avviene per via aerea e che la ventilazione è importante. Gli iniziali pasticci di comunicazione e scientifici a proposito delle mascherine sono stati un problema, ma le cose sono migliorate. I Cdc hanno perfino fatto campagna per spiegare in che modo le mascherine possono contribuire a proteggere chi le indossa dalle infezioni, oltre a ridurre le possibilità di ulteriori trasmissioni. L’importanza dei focolai e dei superdiffusori è più ampiamente riconosciuta, forse in parte a causa del noto focolaio alla Casa Bianca, ancora in corso.

Nefasto periodo
Abbiamo motivi di festeggiare ma – e sapevate che c’era un ma – è ormai cominciata una terribile impennata dei casi. Fatto peggiore, stiamo entrando in questo nefasto periodo senza il genere di leadership o di preparazione di cui abbiamo bisogno, e con numeri che renderanno difficile evitare un drammatico aumento di ricoveri, morti e potenziali effetti a lungo termine per i sopravvissuti.

Quasi ogni giorno gli Stati Uniti battono un nuovo record di casi confermati: nell’ultima settimana di ottobre sono saliti del 40 per cento rispetto a quella precedente. E non sono confinati in una regione o in uno stato. L’intero paese è nel mezzo di un terribile aumento. Lo stesso vale per buona parte dell’Europa dove, uno dopo l’altro, i diversi paesi registrano un numero record di casi.

Non siamo di fronte a una “casedemic” (casodemia)– la falsa idea secondo cui abbiamo un aumento dei casi senza alcun concomitante aumento di malattie o decessi. È vero che in primavera non abbiamo rilevato un sacco di casi perché non effettuavamo abbastanza test, e che oggi ne scopriamo molti di più. Ma non crescono solo i casi confermati. Gli Stati Uniti stanno affrontando un netto aumento dei ricoveri, a cui si sommano circa 1.500 decessi segnalati ogni giorno. Sono i numeri più alti da metà maggio, e continuano a salire. Trevor Bedford, scienziato presso il centro Fred Hutchinson per la ricerca sul cancro, a Seattle, calcola che già dall’inizio di dicembre potrebbero verificarsi più di duemila decessi al giorno, il che significa che anche se da adesso in poi bloccassimo ogni infezione, morirebbe comunque quel numero di persone, tra i già infetti, nel giro di poche settimane.

Abbiamo un bisogno disperato di appiattire nuovamente la curva, prima che gli ospedali siano travolti

Negli Stati Uniti il vaccino della Pfizer-Biontech – o quello della Moderna – potrebbero essere disponibili per il personale sanitario e altre persone ad alta priorità già alla fine dell’anno. Ma non sarà distribuito con capillarità fino al 2021 inoltrato, anche nella migliore delle ipotesi, e il vaccino della Pfizer avrà bisogno di due dosi, a distanza di circa 21 giorni l’una dall’altra. Anche la disponibilità dei promettenti anticorpi monoclonali è molto scarsa. Il presidente degli Stati Uniti è stato una delle pochissime persone, meno di dieci, a riceverli come cura al di fuori dei test clinici. Anche se il farmaco dovesse funzionare bene come speriamo, le trecentomila dosi che l’azienda Eli Lilly ha accettato di distribuire non saranno abbastanza nel momento in cui saranno disponibili, probabilmente verso la fine dell’anno, quando il numero di casi positivi sarà di 150mila al giorno, e in ulteriore aumento. La disponibilità del desametasone è ottima, ma i decessi stanno aumentando nonostante la sua diffusa disponibilità, poiché esso contribuisce a contrastare solo una delle complicazioni della malattia.

Progressi vanificabili
Abbiamo pochi motivi di credere che le autorità dimostreranno una leadership dotata della competenza e della portata di cui abbiamo bisogno. Il presidente uscente si è rifiutato di ammettere la sconfitta elettorale e ha aperto una raffica di pretestuose cause legali per complicare la transizione, diminuendo così le possibilità di un’efficace risposta federale nei prossimi mesi.

Tutto questo significa che abbiamo un bisogno disperato di appiattire nuovamente la curva, prima che gli ospedali di tutto il paese siano travolti. Utah, Illinois, Minnesota, Colorado e altri stati stanno già dichiarando che i loro ospedali e reparti di terapia intensiva hanno raggiunto o sono prossimi alla saturazione. Il vero limite del sistema sanitario non è solo la mancanza di spazio, e neppure di strumentazioni, che potrebbero essere incrementati, ma di personale: dottori e infermieri preparati e in grado di occuparsi dei pazienti, e che non possono essere creati dal nulla. Durante la crisi della scorsa primavera nell’area metropolitana tri-statale di New York (New York, New Jersey e Connecticut), il personale medico di tutto il paese è accorso nella regione per sostenere una manodopera sanitaria stremata. Con un aumento dei casi su scala nazionale, la presenza di dottori e infermieri è necessaria negli ospedali delle loro città d’origine.

Se un numero minore di persone potrà essere ammesso negli ospedali a causa della mancanza di spazio, i pazienti non trarranno beneficio dai miglioramenti nella gestione clinica del covid-19. E rischiamo di vanificare alcuni dei progressi fatti in termini di tasso di mortalità. Potremmo anche vedere aumentare i decessi per altre cause. La riduzione degli interventi chirurgici non urgenti ma importanti, un personale medico oberato di lavoro, e reparti di pronto soccorso sovraccarichi potrebbero tutti contribuire a un peggioramento della situazione sanitaria legata ad altri virus che raggiungono il loro apice d’inverno, come l’influenza, e ad altre malattie.

Sul treno in corsa
Questa stagionalità non è una grande sorpresa, il che rende ancor più tragica la nostra mancanza di preparazione. Durante la pandemia d’influenza del 1918 si verificarono un’ondata anticipata e più leggera in primavera, un periodo di quiete in estate, e un picco ancor più mortale a partire dall’autunno. Anche altri coronavirus, divenuti endemici, sono decisamente legati alle stagioni, e tendono a raggiungere il picco d’inverno. Questo accade forse perché le condizioni di umidità e temperatura in autunno e in inverno favoriscono maggiormente il virus. Il motivo potrebbe anche essere perché d’inverno trascorriamo più tempo al chiuso. Più probabilmente si tratta di una combinazione di questi e altri fattori (meno vitamina D? Meno luce?). Qualunque siano le cause, gli esperti di sanità pubblica sapevano che un’ondata primaverile e invernale erano molto probabili, e ci avevano esortato a prepararci.

Ma non l’abbiamo fatto.

Il modo migliore di prepararci sarebbe stato quello di entrare in questa fase con il minor numero di casi possibile. In processi esponenziali come le epidemie, i numeri di riferimento hanno un’enorme importanza. Quando i numeri sono così alti, è molto facile che crescano ulteriormente, e molto velocemente. Ed è quel che succederà. Quando si comincia con mezzo milione di casi confermati alla settimana, come accaduto alla metà di ottobre, è come trovarsi su un treno in corsa. Poche settimane dopo siamo già a circa un milione di casi alla settimana, senza segni di un rallentamento.

Quando la trasmissione all’interno di una comunità è così alta, ogni genere d’esposizione diventa più pericoloso

Negli Stati Uniti viene segnalato un numero di casi più elevato rispetto alla primavera, probabilmente a causa dell’affaticamento da quarantena e delle indicazioni confuse. È difficile vivere con molte limitazioni. Ma ciò con cui dobbiamo fare i conti oggi non durerà per sempre. È tempo di accettare la situazione e di chiuderci nuovamente in casa, e di farlo con rinnovata attenzione. Ricordiamoci che la pandemia è cominciata da appena nove o dieci mesi, e non abbiamo ancora vissuto in pieno né l’autunno né l’inverno. Tutto quel che abbiamo fatto finora con una certa cautela in estate, uscendone indenni, potrebbe presentare oggi più rischi, poiché le condizioni sono cambiante e i numeri di riferimento sono molto più elevati.

Quando la trasmissione all’interno di una comunità è così alta, ogni genere d’esposizione diventa più pericoloso. Ci sono più possibilità che tra i partecipanti di un corso in palestra ce ne sia uno infetto. Sul posto di lavoro ci saranno più casi, il che significa che più dipendenti si porteranno il virus a casa. Un numero più elevato di clienti nei negozi alimentari sarà positivo. Sarà più difficile organizzare un incontro informale tra amici all’aperto. Perfino la trasmissione dalle superfici potrebbe diventare più rischiosa, perché livelli d’umidità più bassi potrebbero far sopravvivere più a lungo il virus.

Meglio rinviare le feste
Come se non bastasse, le festività sono alle porte, e comporteranno un’impennata di occasioni di ritrovo tra persone che altrimenti non s’incontrerebbero. Simili incontri, soprattutto se coinvolgono più generazioni, potrebbero causare nuove epidemie. Non mi fa piacere dirlo, ma tutto questo significa che qualsiasi incontro al di fuori del proprio limitato gruppo di frequentazioni andrebbe per ora evitato, soprattutto se al chiuso. Pensate alla cosa come a un rinvio e pianificate di organizzarla in futuro. Meglio un Natale in ritardo che una catastrofe sanitaria anticipata. Il gruppo delle frequentazioni non dovrebbe essere allargato se non laddove assolutamente necessario. Ordinate cibo d’asporto invece di consumarlo sul posto. E trasferite sul piano virtuale le serate in compagnia. Fate spese consistenti, così da dover fare meno spedizioni nei negozi. E non è il momento giusto per un ricevimento di matrimonio o festa di compleanno.

Una delle principali sfide è rappresentata dai giovani. Molte università stanno mettendo fine ai corsi in presenza e rimandando a casa gli studenti, considerano gli atenei come possibili luoghi superdiffusori su scala nazionale. Questa fascia d’età dei giovani adulti è particolarmente pericolosa: anche se possono essere infettati, hanno meno probabilità di ammalarsi gravemente, e quindi non prendono le stesse precauzioni delle persone malate. Questo significa che sono loro a presentare il più grave rischio per i loro genitori più vulnerabili o per altri parenti più anziani, nella vita di tutti i giorni. Idealmente le università dovrebbero dare, agli studenti che già si trovano nei campus, la possibilità di rimanere nei dormitori durante la pausa invernale. Quelli che vivono in alloggi esterni dovrebbero valutare la possibilità di restare dove sono. Se decidessero di tornare a casa, gli studenti dovrebbero quanto più possibile mettersi in quarantena per due settimane, come consigliato.

Per i cittadini comuni potrebbe essere arrivato il momento di valutare l’uso di mascherine di maggiore qualità (N95 e KN95), come da tempo consigliano gli esperti di sanità pubblica. La cosa è particolarmente vera per i lavoratori a basso salario i quali, in misura sproporzionata sono non bianchi e devono lavorare al chiuso. E lo stesso vale per gli anziani, per quanti lavorano con loro e per le persone con problemi di salute preesistenti che li mettono maggiormente in pericolo. Idealmente servirebbe un consistente pacchetto di aiuti economici, che permetta ai negozi di rimanere chiusi e ai lavoratori di restare a casa il più possibile, migliorando al contempo gli standard dei posti di lavoro grazie a una maggiore aerazione e all’uso delle mascherine. Tragicamente sembra che tutto questo non sia previsto.

Tra gli aspetti positivi c’è la possibilità per i cittadini comuni di comprare mascherine di migliore qualità, il che suggerisce che la terribile scarsità vista in primavera è alle spalle. È comunque saggio evitarne l’accumulo. Alla maggior parte delle persone non ne servono così tante, e un eccesso di acquisti ridurrebbe seriamente le scorte. Finché sono indossate e rimosse con cura (usate il gel igienizzante per le mani prima e dopo), è possibile riusarle dopo averle lasciate in un sacchetto di carta o in un contenitore aereato per almeno cinque giorni. Questo significa che, per chi lavora con altre persone, e in particolare al chiuso, ne bastano cinque, da usare a rotazione, per una normale settimana di lavoro.

Tutto questo è sgradevole, ma l’alternativa è perfino peggiore. Esiste un proverbio turco per tempi come questi, e cioè quando si riesce a vedere una luce in fondo al tunnel: “Il tempo passa più rapidamente quando si possono contare i giorni che mancano alla fine”. Non siamo più nel periodo terribile e senza un orizzonte temporale della primavera 2020, quando non sapevamo neppure se avremmo avuto un vaccino, se e quali terapie avrebbero funzionato, e se saremmo mai usciti dall’oscurità di questa pandemia. Adesso sappiamo che la cavalleria sta arrivando. Ma fino ad allora sarà meglio chiuderci di nuovo in casa.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato su The Atlantic.

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